
Spinto soprattutto dalle correnti salutiste e vegetariane, in questi ultimi 10 anni il consumo di frutta secca nel nostro Paese è più che raddoppiato. E quando la domanda di una particolare categoria merceologica esplode in questa maniera sul mercato, stiamo pur certi che c’è chi è pronto ad approfittarne.
Quando parlo di frutta secca mi riferisco essenzialmente a quella lipidica (e non a quella glucidica, meglio conosciuta come frutta essiccata); ovvero a quella ricca di grassi insaturi (quelli buoni e che dobbiamo assumere attraverso l’alimentazione) e povera di zuccheri. Proprio per questo loro aspetto nocciole, anacardi, mandorle, arachidi, pinoli, pistacchi e tutti i tipi di noci risultano essere alimenti essenziali per chi ha deciso di adottare una dieta a base vegetale e per chi come si dice oggi è “fissato con la linea”. Anche se non bisogna esagerare perché possono nascondere delle insidie, specialmente per chi soffre di alcune patologie. Ma non solo, le loro caratteristiche li rendono estremamente ricercati anche dalle grandi aziende dolciarie. Purtroppo però è doveroso sottolineare il fatto che dietro a tutto questo interesse troppo spesso si cela una produzione del tutto insostenibile.
Prendiamo il caso della nocciola. Negli ultimi anni in Toscana, Piemonte, Lazio e Umbria migliaia di ettari sono stati convertiti o disboscati in favore di una vera e propria monocoltura, anche dove i noccioleti non si erano mai coltivati. In questo caso la frenesia dettata dal mercato e dalla domanda delle grandi multinazionali non ha lasciato spazio alla biodiversità produttiva, alla conservazione della fertilità dei suoli ma anche all’economia locale.
Quando invece si decide di consumare anacardi per il loro valore nutrizionale, consiglierei di informarsi sulla provenienza, chiedendosi cosa si nasconde dietro la loro produzione. Bisogna sapere che l’anacardo è ricoperto da un guscio resinoso e caustico che rende la raccolta di questa particolare noce insidiosa. Infatti questa mansione viene demandata alle fasce più deboli e bisognose della società, in India, Vietnam e Costa d’Avorio (dove si concentra gran parte della produzione a livello mondiale): i raccoglitori di anacardi devono fare i conti con condizioni di lavoro pericolose per la loro salute, salari al limite della sussistenza e la totale assenza di garanzie per il loro futuro.
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