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Il professor Grandi e la cucina italiana: "Attenti a non confondere le radici con l'identità"


Una valanga di polemiche ha travolto il professor Alberto Grandi e i suoi studi sulla cucina italiana. Mantovano, classe 1967, è professore associato all'Università di Parma. Insegna Storia delle imprese, Storia dell'integrazione europea ed è autore del podcast di successo "Doi, Denominazione di origine inventata" in cui sfata una serie di miti su quei piatti di cui proprio in questi giorni, all'indomani della candidatura come patrimonio immateriale Unesco, si parla molto. Il prof nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista al Financial Times a seguito della quale è stato attaccato dal ministro dei trasporti Matteo Salvini e dalla Coldiretti che sono scesi in campo in difesa della cucina italiana.

E proprio su questi temi l'abbiamo intervistato per fare luce sull'argomento e sulle sue posizioni storiche.

L'Intervista sul Financial Times, l'attacco di Salvini e l'affondo di Coldiretti, professore col suo podcast Doi ha sollevato un bel polverone...

"Io non ho fatto niente, a Salvini sui social ho risposto a dovere. Il mio libro sul tema è di 5 anni fa, il podcast dell’anno scorso. Evidentemente questo è un argomento che interessa molti, il Financial Times mi ha dedicato 5 pagine del magazine, a Obama ne avevano date solo 4…È l' articolo più letto della settimana con migliaia di commenti".

Come mai secondo lei tutto questo interesse?

"La cucina italiana sta assumendo una dimensione identitaria al di là di ogni ragionevolezza, ormai scattano reazioni pavloviane che non hanno senso. E non capisco perché molti mi attaccano visto che non metto in discussione la qualità del cibo italiano o dei prodotti, ricostruisco in maniera storica e filologicamente corretta la storia di questi piatti. E con i miei studi ho dimostrato che molte preparazioni derivano dagli ultimi 50-60 anni di storia e da interazioni con la cultura atlantica. Luca Cesari nel suo libro sul tema scrive che la prima ricetta della carbonara è datata 1953 Chicago, prima non c’era in Italia. È italo americana. La salsa sulla pizza è nata a New York non a Napoli… ci arriva dopo".

Quindi paradossalmente la cucina italiana in realtà sarebbe americana?

"Semplificare neanche va bene. Il punto è che confondiamo l'identità con le radici, che sono incrocio, contaminazione. Si parla a torto di identità: la cucina cambia, continuamente. Noi italiani siamo i primi consumatori di sushi in Europa, se avessimo davvero un gusto così italiano come ce la raccontano non ne mangeremmo così tanto. Ci sono kebab che fanno le pizze e viceversa, questa è la storia del mondo del cibo. Tirare fuori che dai tempi di Boccaccio in Italia si fa quello o quell'altro piatto è una sciocchezza, se volessimo assaggiare il Parmigiano Reggiano come lo mangiavano i nostri nonni dovremmo andare nel Wisconsin e non a Parma. Il nostro Parmigiano ovviamente è migliore del Parmesan, in termini storici però il Parmigiano dei nonni è più simile al Parmesan che al Parmigiano".

Non crede che argomentando in questi termini, parlando di denominazioni di origine inventate si possa creare un danno alla cucina italiana?

"Cristallizzare la nostra identità fa un danno, così la uccidiamo, finirà che non se ne parlerà più. In che modo la storia dovrebbe legittimare la qualità? O il Parmigiano è buono o non lo è. Non è che se prendo un cavallino rampante e lo metto su una Panda questa diventa una Ferrari, non è la storia che legittima l' attualità. La focaccia di Recco l'hanno difesa così tanto che non si può più fare! Non la puoi neanche vendere fuori Recco, per dire a Genova, perché è fuori dal disciplinare. E anche la questione delle ricette diventa ridicola: il primo che mette la panna nella carbonara è Gualtiero Marchesi e lo fa per fare la crema, che oggi è un must. Allora, Marchesi era traditore della patria per aver usato la panna? La storia è questa, le ricette cambiano. I gusti cambiano, qualcosa sta già cambiando. Tutta la retorica dei prodotti italiani sta già segnando il passo, ha rotto le scatole in parole povere. Alle mie figlie che vanno a sushi e kebab di Isabella d'Este e Lorenzo il Magnifico non interessa, ci sarà sempre una piccola fetta di persone attratte dalla storia, ma bisogna evolversi. Non è facendo i puristi che si svolta – nell'Amatriciana una volta c’erano un sacco di ingredienti oggi considerati proibiti. E anche la "menata" della pancetta o il guanciale è recente. Il mio mestiere è fare lo storico, non vendo prodotti".

Ora la cucina italiana è candidata come patrimonio dell'umanità all'Unesco, che cosa ne pensa?

"È una cosa che non sta in piedi da nessuna parte, se l'otteniamo che succede? Chi la ama continuerà ad amarla e a chi non piace continuerà a non piacere. E poi perché la cucina italiana sì e non la greca o la turca per esempio? Nel dossier ci sono diverse cavolate".

Tipo?

"Si dice che in Italia preparare il pasto per la famiglia vuol dire prendersi cura, nei ristoranti c’è cura per il cliente, invece negli Usa nelle famiglie che succede? E in Olanda nei locali ti prendono a schiaffi?? A parte che spesso succede che in Italia ti trattano anche male nei ristoranti ma lasciamo stare… in Asia si mangia benissimo e c’è profondità culturale esattamente come in Italia, qui però c'è provincialismo bieco, questa è una bandierina che ci permetterà di continuare a menarcela… E ci vedo anche un pericolo, che le cose non cambino, che la cucina si cristallizzi".

C'è chi sostiene che il riconoscimento Unesco sarà una tutela contro l'italian sounding.

"La verità è che l'italian sounding è una certificazione di qualità".

Ma è un reato...

"Vero, ma è uno dei rischi che corre chi ha successo… Se non ci fosse il Parmesan e quella fetta di mercato Usa fosse coperta dalle vendite del Parmigiano, che accadrebbe? Che moriremmo tutti! Perché non c’è più spazio per le vacche qui da noi. I reati vanno perseguiti, ma questo non giustifica chi racconta storie false".


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