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Per ridurre le emissioni va ripensato il sistema di produzione del cibo


Secondo Elvira Tarsitano, presidentessa del Centro per la Sostenibilità dell’Università degli Studi di Bari, “Se nel secondo dopoguerra la meccanizzazione dell’industria del cibo è stata necessaria per ammodernare i processi produttivi, ora questo fenomeno è arrivato all’esasperazione con una serie di storture. Serve quindi ripensare i modelli di produzione e il modo di vivere”, dice Tarsitano a OggiScienza, indicando una possibile via complessiva per ridurre gli sprechi e adottare un sistema sostenibile. “Oggi abbiamo la tecnologia adatta per produrre cibo in maniera poco impattante, spesso però le logiche del profitto fanno propendere verso scelte diverse, meno sostenibili ma più redditizie. Un ruolo in questa partita deve giocarlo anche la ricerca per spingere la tecnologia verso applicazioni sempre più sostenibili”.

“Il modello alternativo”, propone la scienziata, “potrebbe essere quello della mediterranean way, ovvero lo stile di vita mediterraneo, un modello che non si riferisce solo a questioni nutrizionali, ma abbraccia concetti più ampi e profondi che si riferiscono sia a una specifica modalità di produzione e consumo del cibo che a un determinato modo di concepire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Questo modello, in confronto alle diete basate su un eccesso di grassi animali, ha sicuramente un più limitato impatto ambientale perché rispetta la biodiversità, la stagionalità, la frugalità e la riduzione delle produzione di rifiuti. Inoltre la mediterranean way propone anche una rivoluzione culturale ed economica, suggerendo una vita che si sviluppa in comunità piccole che possono corrispondere ai borghi o ai quartieri delle città, per ridurre gli sprechi alimentari e per favorire le piccole produzioni alimentari a filiera corta.”

Un occhio di riguardo, in questo stile di vita (approfondito da Tarsitano sul Journal of Sustainable Development) va ovviamente al ruolo delle istituzioni che possono avere un ruolo di regolatore, soprattutto per quanto riguarda gli sprechi. “Gli enti regolatori possono e devono incentivare economicamente i produttori e i distributori di cibo che mettono in atto modelli virtuosi di riduzione delle eccedenze alimentari, valorizzando anche le diverse iniziative che le organizzazioni del terzo settore mettono in pratica, come far rientrare nella catena della solidarietà il cibo in scadenza”.

Un monito che arriva anche alle istituzioni che a Parigi hanno stipulato l’accordo qualche anno fa: al netto della quantità di carne mangiata o del cibo buttato alla fine di ogni pasto in quell’occasione, bisogna prendere quindi iniziative forti per orientare le scelte di consumo, ma soprattutto per orientare i modelli di distribuzione e di produzione di alimenti per arginare lo sfruttamento di risorse e l’emissione di gas serra da parte delle grandi industrie alimentari. Se non si agisce sul sistema globale del cibo il nostro Pianeta continuerà a riscaldarsi, non raggiungeremo gli obiettivi di contenimento della Temperatura e quello consumato a Parigi nel 2015, sarà davvero cibo sprecato.


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