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Superare le barriere psicologiche per utilizzare proteine alternative e sostenibili


Sapete che il sapore piccante (mettiamo di un peperoncino), oppure la sugosità di una mozzarella o di un pomodoro, sono sensazioni tattili e non gustative? Sembrerà strano ma è proprio così. Come sembra strano che dal colore di un alimento dipende la nostra maggiore o minore propensione al consumo. Ad esempio non compreremmo mai una confezione di lattuga con dentro delle foglioline che appaiono appassite, e questo indipendentemente dalla data di scadenza.

Conoscere e maneggiare con successo queste attitudini, è invece fondamentale per l’industria alimentare. Ed è fondamentale anche per noi consumatori, oltre che per la sostenibilità dell’intera filiera. Il perché ce lo spiega Monica Borgogno, che di professione fa la sensory project manager, cioè si occupa di come i nostri sensi percepiscano i prodotti dell’industria alimentare e dunque ne orientino il consumo.

“Il sensory project manager è una figura professionale che si occupa di gestire, coordinare e realizzare progetti di studi sensoriali” ci spiega Monica.

Come vedi il futuro dell’alimentazione? Anche per sostenere una popolazione in aumento: vedi possibile lo sviluppo di cibo sintetico? “E’ vero che siamo nel pieno di una profonda rivoluzione tecnologica che naturalmente investe anche l’alimentazione. Ma non credo che nel medio termine consumeremo mai pillole o barrette che riproducano i sapori di ciò che mangiamo correntemente. Ad esempio io ho avuto un’esperienza negli Stati Uniti lavorando in un’azienda che sviluppava barrette energetiche per i militari, e posso dire che siamo ancora molto molto lontani da un cambio radicale delle nostre abitudini alimentari in questo senso. Credo più nella questione dell’alimenatzione a base di insetti, che sta impegnando anche la comunità europea per trovare fonti proteiche alternative a quelle che utilizziamo ora”.

Però gli insetti generano nella nostra cultura ancora sentimenti di disgusto, è superabile secondo te? “E’ vero che per la maggior parte dei consumatori europei o comunque occidentali, gli insetti generano disgusto e ribrezzo. Però ci sono scale di valutazione che ci permettono di migliorare il prodotto. E poi anche in questo caso è una questione di abitudini. Nei Paesi asiatici ad esempio il consumo di certi tipi di insetti è normale. E chi ci va da turista o per lavoro, alla fine vuole assaggiarli, e normalmente ne ricava una sensazione positiva. Magari per moda o per dire di aver mangiato qualcosa di esotico. Però se si riesce a trasformare il prodotto e renderne un po’ più normale il consumo, secondo me il passo sarà a breve termine. E’ una questione di familiarità. Del resto anche alcune abitudini alimentari del Sud Italia non sono ben accette al Nord e viceversa. E siamo nello stesso Paese”.

Quindi? “L’uso di fonti proteiche alternative determinerà anche una maggiore sostenibilità dell’industria alimentare, e porterà a nutrire più persone nel mondo. Senza contare tutto il campo, enorme, dell’alimentazione degli animali. Oggi si sta cercando di sostituire l’alimentazione tradizionale con farine di insetti o altro: apportano un contenuto proteico molto elevato e dal punto di vista organolettico non hanno assolutamente un impatto sgradevole o negativo sul consumatore finale. Anzi, abbiamo visto che è del tutto assimilabile alla normale alimentazione che questi animali hanno. Ad esempio noi stiamo facendo studi sull’acquacultura, sui pesci (orate spigole, salmone trote etc ) e vediamo che il risultato è ottimo”.


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